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sabato 21 febbraio 2015

Condizionamenti & Emozioni

Condizionamenti & Emozioni









Ogni struttura socio-culturale ci condiziona profondamente non solo nella mentalità, ma anche nelle emozioni, nei modi di come porci verso ciò che ci circonda e di conseguenza nei nostri comportamenti. Perciò, prima di affondare in culture ancora oggi esistenti con strutture e ruoli sociali completamente differenti dai nostri, forse è opportuno prima ricordare alcuni pilastri del nostro sistema socio-culturale e di come ci condizionano oramai da millenni di anni.


Torniamo indietro di circa 7000 anni. Proprio quando subentrò uno sconvolgimento climatico tale, che portò allo sviluppo dei vari deserti ancora oggi esistenti, come il Sahara.  Con l’accrescere della mancanza di cibo si formarono i primi nomadi, che seguirono gli spostamenti dei vari greggi. La concezione di possesso era ancora un’idea inesistente. Si viveva di ciò che si trovava e si cacciava. Tutto quello che dava la terra, veniva suddivisa con l’ambiente circostante, come ad esempio il lupo.
Con l’avanzare di situazioni di necessità e bisogno, i nostri antenati hanno iniziato a impedire l’accesso alle risorse ad animali selvatici. Quest’atto ha portato con sé delle conseguenze enormi:
L’inizio della cultura pastorale, che includeva una concezione di esclusione e non più di divisione con gli altri. Quest’atteggiamento verso l’ambiente iniziò a divenire una norma con il proseguire delle varie generazioni e percepita come una forma di costume. Quest’atto di trasformazione culturale ha potuto solo aver luogo, con un cambiamento emozionale profondo verso le varie risorse e l’ambiente.

A livello pratico cosa significa tutto ciò esattamente? Per tracciare un confine, che disegnava il proprio possesso, bisognava proteggerlo per preservarlo. Ciò includeva anche l’uccisione dell’avversario. Che spesso erano animali selvatici. Nulla di nuovo per la vita di allora. Ma la grande novità era la motivazione. C’è un’enorme differenza se si uccide per mangiare o se si uccide sistematicamente per proteggere la propria proprietà. Le due forme richiedono congetture emozionali completamenti differenti verso l’ambiente. Nel primo caso, una vita viene presa per dare vita ad un’altra. Una concezione che sussiste ancora oggi in tante tribù indigene. Nel secondo caso, si tratta esclusivamente di volere la morte dell’altro per poterlo escludere dalla propria vita. La distruzione dell’altro serve per preservare il proprio possesso. Le differenti emozioni che richiamano lo stesso atto, sono diametralmente in contrapposizione. Nel primo caso, dove ci si sente alla pari con l’ambiente e sussistono i principi di uguaglianza e divisione, l’uccisione di un animale si collega a soddisfazioni e rallegramenti per nutrire tutto il gruppo. Nel secondo caso, invece, subentrano sollievo, orgoglio e fierezza per aver eliminato una minaccia e cioè il nemico. Con l’eliminazione del nemico accade anche lo stabilire di un nuovo ordine. Per tenere in piedi il nuovo ordine, subentra anche la perdita di fiducia. E ciò necessita un continuo controllo per proteggere ciò che si ha acquisito. La quotidianità viene così colorita da un sentire di perenne pericolo. Da tutta questa insicurezza e disfiducia si forma maggiormente la convinzione del bisogno di dover uccidere ed escludere l’altro dalle proprie risorse. Nasce l’inimicizia, la sfiducia e l’ostilità verso l’altro, verso il diverso, che è concepito come nemico, come un pericolo continuo e di conseguenza da tenere lontano da sé. Si arriva a provare ciò anche verso il proprio simile.

Ciò e molto altro a riguardo, sono cose che in fin dei conti sappiamo. Ricordarlo non può nuocere. Perché coloriscono in modo profondo anche le nostre relazioni più intime ... 

Mi sta venendo in mente di come si comportano gli spermatozoi. Sarà il prossimo tema. Si, perché no. Tanto per ricordare, da dove veniamo ... 







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